Domenica 28 febbraio 2021 (Mc 9,2-10)
Il nostro cammino verso la Pasqua è un cambiamento di cuore, di direzione, che riguarda anche le immagini di Dio che possano essere distorte. Dio non vuole sacrifici, ma un’offerta del proprio cuore, e di monte in monte, da quello di Morìaal Tabor, passa per il monte degli Ulivi e per il Golgota. La quaresima è il tempo per decidersi per Dio, non senza dimenticare la croce, la differenza cristiana, che coglie un Dio diverso dai clichè religiosi, piuttosto che chiedere sacrifici, offre suo Figlio per la nostra salvezza.
Il cammino verso Gerusalemme gode di un anticipo di luce ma non esclude la sofferenza di Gesù e quando parla della croce, i suoi discepoli rimangono impressionati, evitano questo argomento, pensano ai posti d’onore, litigano fra di loro, per questo scappano nella crocifissione del loro Maestro, ma questa non è una giustificazione. Non è facile essere cirenei, vedersi la croce sulle spalle, senza averla scelta se non ci si fa “cirenei della gioia” direbbe don Tonino Bello. Non è vero che tutti sfuggiamo alla croce? Non è vero che di fronte alla malattia ci sentiamo castigati da Dio? Non è vero che abbandoniamo un amico che si ammala, un anziano che ha bisogno di aiuto perché la croce è pesante?
La croce ha una sua bellezza, Gesù anticipa un po’ di luce, non solo nella trasfigurazione il suo corpo diventa di luminoso, è il vestito di Dio, ma nella crocifissione, la de-figurazione, splende l’amore di Dio, un vestito particolare. Nella croce fa fatica riconoscere Dio, e Gesù non è riconosciuto nemmeno dai suoi ma da un pagano, un soldato, un centurione che dirà sotto la croce: “Quest’uomo era veramente figlio di Dio”.
Di monte in monte c’è sempre un Eccomi di Gesù, un Amen, e nella trasfigurazione si profila la croce, Gesù si immerge nel disegno del Padre, aiutando tre dei suoi discepoli a fare esperienza di preghiera, di luce interiore.
Gesù non prese tutti i dodici, ma solo tre, pochi, per salire sul Tab or, (vicino alla luce) in cima alla montagna, luogo della rivelazione, delle teofanie, in “disparte”, “appartati”, lontano dalla folla. Nella trasfigurazione, il suo corpo, vestito di luce, di Dio, quale migliore reclame poteva essere per lui e il suo movimento? Invece di chiamare la folla, di far vedere chi è, si nasconde. Perché?
Perché la religione non è teatro non è show, non è spettacolo.
“Facciamo tre tende …” esclama Pietro, il desiderio di prolungare questo momento, un accampamento, cioè, continuiamo e facciamo durare questo momento straordinario, magico. invece Gesù esorta a passare dall’altare alla realtà, alla dura realtà, della lotta, della testimonianza. La tenda non serve, è necessaria quella interiore, memoria di quella esperienza straordinaria. come la celebrazione eucaristica, “fate questo in memoria di me”, i nostri occhi fissi su di lui, poi devono gettarsi nel feriale, nella prossimità, nel riconoscere la sua presenza in tutte le cose. Alcune esperienze sono brevissime, belle, di gioia, che segnano tutta la vita, pensiamo all’esperienza di Paolo a Damasco, pensiamo al nostro incontro con il Signore, capita una volta nella vita, esperienza da custodire, che diventa la chiave della vita.
La voce del Padre il giorno del battesimo, si conferma nella trasfigurazione, rivestito di luce, Gesù è un uomo uguale come noi in tutto e per tutto tranne che nel peccato: ha avuto fame, sete, anche sulla croce, è stato tradito, rinnegato, abbandonato, anche da Dio, processato, flagellato, deriso, gli hanno sputato addosso e alla fine lo hanno inchiodato sulla croce. Ecce Homo, profeta inconsapevolmente Ponzio Pilato. Gesù è uomo al cento per cento, e nella metamorfosi della trasfigurazione, quel vestito bianchissimo che indossa, ricorda la veste del battesimo, purificata dal sangue dell’Agnello, che lui rende sempre bianca con la confessione dei nostri peccati.
Chi è Gesù? È la domanda centrale di tutto il Nuovo Testamento, non è così facile capire né la trasfigurazione e nemmeno la de-figurazione, ma c’è un anticipo di risurrezione, in cui Dio fa nuove tutte le cose, la domenica senza tramonto che anticipiamo nella celebrazione eucaristica. Gesù ci conduce Tab or della vita, un assaggio della sua figliolanza divina, a vivere una esperienza interiore, straordinaria che annuncia l’irrompere della luce di Dio nella storia degli uomini, quando ci sarà la risurrezione finale, segno di speranza per tutti.
Non fermiamoci al monte, andiamo e continuiamo il cammino verso Gerusalemme.
Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.
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