Fede, tradizione, religiosità popolare nella festa di San Leone

Fede, tradizione, religiosità popolare nella festa di San Leone

Fede, tradizione, religiosità popolare nella festa di San Leone 960 720 Vincenzo Leonardo Manuli

di Lia Grisolia

Quando? Il 19 febbraio di ogni anno (o quasi) e la seconda domenica di agosto

Da quanto tempo? Dal 1224 (ufficiosamente) – Dal 1630 San Leone Vescovo di Catania diventa Patrono di Saracena

Dove? A Saracena (Cs) – Calabria Citra

Perché? Si festeggia il Santo Patrono dell’Universitas  Terrae Saracenae

Come? Messe, fucarazzi e fiaccolata

“Viva Santu Liunu!” 

“Semp Santu Liunu!”

Un botta e risposta, un saluto di benvenuto in una comunità in festa, una precisa invocazione al santo protettore che risuona ovunque a Saracena ogni anno il 19 febbraio. Il fuoco, poi, qui è di casa. Non è un elemento da sottovalutare se è vero che questa festa nella tarda serata si trasforma in una sorta di rito pagano che poco o nulla ha a che vedere con la religione cristianamente intesa. Tutto si svolge (o meglio si svolgeva) attorno a falò giganteschi in cui si bruciano fasci di rami di ginestra e ulivo. Le famiglie riunite attorno ai “fucarazzi” consumano cibi della tradizione accogliendo i tanti forestieri che accorrono al cospetto di San Leone per chiedere una grazia. Della dimensione dello scambio conviviale oggi, però, resta ben poco. 

Chi sia venuto a vedere la festa negli anni 80-90, saprà di certo che l’accoglienza del forestiero avveniva proprio in strada condividendo pubblicamente il cibo tradizionale, mentre ora si preferisce chiudere le saracinesche e consumare i cibi perlopiù in maniera privata e riservata. Ciononostante i falò restano un caposaldo di questa nostra festa, vediamo perché. Non bisogna dimenticare che il fuoco, in quanto elemento ancestrale, resta fermamente ancorato a certi riti della fertilità dei campi e della terra, e anche la nostra Saracena, infatti, sembra bene accordarsi negli usi e nelle tradizioni a quanto prevedevano i cosiddetti “riti agrari”. Qualcosa del genere si intravede nelle pagine della Monografia storica del Comune di Saracena a cura di Vincenzo Forestieri (1913). Lo storico racconta che nella nostra terra si celebravano riti legati alla fertilità dei campi, come ad esempio la benedizione delle biade durante la festa dell’Ascensione nel mese di maggio. Non stupisce quindi che ancora oggi si accendano molti fuochi purificatori che aiutino a scacciare l’inverno e a salutare l’arrivo della primavera in occasione della festa patronale. Un retaggio ma anche, probabilmente, un collegamento con l’agiografia di San Leone, meglio conosciuto come colui che resistette al fuoco e alla “magia” di Eliodoro sedicente mago che lo sfidò a Catania, una sfida a colpi di Episteme Doxa, conoscenza intellegibile e conoscenza sensibile, insomma, un meticciato di religione e magia.

Tornando all’antropologia della festa, si noti che il fuoco è poi letteralmente portato a spasso per la città sotto forma di fiaccole (varavasche, cioè piante di verbasco anticamente unte in olio e grassi animali ora sostituite da fiaccole in cera) che a migliaia percorrono l’itinerario di una fiaccolata durante la quale non cammina la statua del santo ma soltanto il suo gonfalone. Le luci illuminano la fredda notte della vigilia di San Leone, ufficialmente festeggiato il 20 febbraio seguendo il calendario della chiesa bizantina. Chiunque abbia osservato questo spettacolo (ormai visibile anche sui media e sui canali social) si sarà accorto di come le folle si radunino di fronte alla chiesa patronale portando con sé ciaramelle, zampogne, fisarmoniche e organetti suonando le note di melodie contadine tramandate oralmente di generazione in generazione, stemperando le inclementi temperature invernali con ingenti quantità di vino. La stessa musica ritorna poi in chiesa, perché è qui che avviene qualcosa di mai visto prima in altre comunità parrocchiali:  la folla si insinua sino all’altare maggiore tra canti, urla, lazzi procedendo a colpi di “Viva Santu Liunu!” per omaggiare il santo patrono. Le reazioni dello spettatore sono diverse: estasi panica, lacrime di commozione che bagnano le gote, incredulità.

Perché è notorio che, almeno negli ultimi decenni, questa festa si sia lentamente trasformata in un’occasione per fare baldoria impunemente e sotto gli occhi di tutti in nome del santo.  Nonostante la naturale trasformazione della festa dovuta a una radicale trasformazione della società, l’amore per San Leone è sempre vivo nei saracenari e anche nella scrivente. Festeggiamo San Leone due volte all’anno insieme ai tre comuni siciliani di Rometta, Longi e Sinagra, mantenendo evidenti differenze nell’esplicazione del culto. A Saracena questa festa resta intimamente legata al fuoco, la statua del santo viene portata in processione solo ad agosto (fino al 1849 i festeggiamenti estivi si svolgevano l’ultima domenica di giugno, ma negli ’80 per consentire la partecipazione anche agli emigrati saracenari, si preferì spostare i festeggiamenti alla seconda domenica di agosto) ed esposta sull’altare maggiore durante il novenario. Nei comuni sopramenzionati, San Leone è festeggiato con due lunghissime processioni in cui la statua del santo viene sorretta dai fedeli nella “corsa di San Leone” durante la notte di Pasqua e durante la  corsa dei “miracoli” nel mese di maggio. In queste occasioni si dice che il santo continui ad operare miracoli tra i fedeli urlanti “Viva Santu Liu”, in un dialetto molto vicino al nostro. Nelle tre comunità siciliane San Leone si festeggia per ben tre volte all’anno nei mesi di febbraio, maggio e settembre. 

Alla luce di questo breve e di certo non esauriente identikit della festa di San Leone in versione calabrese e siciliana, mi chiedo se non sia il caso di riscoprire il culto del nostro santo patrono vivendo la festa con rinnovata fede e, perché no, facendone un nuovo baluardo di esemplare cristianità e di testimonianza all’interno della nostra comunità. Non sarebbe forse il caso di inserire la nostra versione della festa di San Leone nel Registro delle Eredità Immateriali dell’Unescocome peraltro le comunità siciliane hanno già fatto da anni? Non sarebbe giusto preservare e conservare in maniera ufficiale il nostro culto, proteggendolo dalla tentazione della dimenticanza e consegnandolo integro alle generazioni future? Questo mi auguro e questo vorrei che fosse il desiderio di tutti i saracenari devoti di San Leone.

Semp Santu Liun!

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