Parlava con autorità
In questi giorni ho iniziato la lettura di un testo spirituale, “Dio non è quel che credi”, di J. M. Ploux (2012), una serie di paragrafi che aiutano a riflettere sulle false immagini e sul vero volto di Dio. Pensavo alla coincidenza con il vangelo di questa domenica, Marco, discepolo di Pietro, che narra gli inizi della predicazione di Gesù. La gente e le autorità religiose sono messe in crisi dall’uomo di Nazareth che mostra un volto di Dio inedito, inaudito, sovversivo, liberante. Si presenta molto ostico l’itinerario di Gesù che lo porterà alla crocifissione e che solo un centurione romano affermerà: “Quest’uomo era veramente il figlio di Dio”. Il soldato romano ha visto morire un uomo giusto, è stato spettatore di una esecuzione che ha stravolto l’idea di Dio, da onnipotente a debole. È difficile liberarsi da pregiudizi, da schemi rigidi, da abitudini e da vizi oramai che fanno parte della struttura mentale della persona e nella società.
La verità è che nel meticciato di Cafarnao, il quartier generale di Gesù, la città di Pietro e dei primi discepoli, è punto di snodo dell’economia e del commercio; qui circolavano persone di etnie e culture diverse, e il Maestro di Nazareth si situa nel cuore di un flusso di persone dove era presente anche una sinagoga. La sinagoga, luogo di preghiera e di riflessione della Torah, vede la presenza degli spiriti impuri, c’è un uomo posseduto, assoggettato dal maligno e proprio gli spiriti impuriri conoscono la presenza dell’Unto di Dio, “il Santo di Dio”, ma si fermano alla proclamazione della sua divinità, senza sequela, hanno paura perché il loro regno è terminato. Gli altri, scoprono l’autorità, qualcosa di nuovo, sono stupiti e meravigliati, ma anche loro, senza adesione.
Cafarnao è la giornata tipo di Gesù: preghiera, incontri, guarigioni, e sta germogliando una piccola comunità che lo segue. Lui farà esperienza di ostilità, di cuori induriti, ma l’Unto cambierà programma, si rivolgerà ai più fragili, andrà nelle periferie, verso i poveri, ai malati, ai peccatori, agli emarginati, perché hanno capito che “laddove c’è una ferita, è il luogo dove entra la luce” (G. al Din Rumi).
Il regno del maligno ha cessato di esercitare la sua autorità, ed è curioso che gli esordi di Gesù riguardano questa battaglia, quel male che abita dentro e divide, crea caos, annichilisce le menti, distorce la realtà. Gesù opera nei cuori delle persone, tuttavia è difficile spezzare il cuore, ma se si continua a rompere si aprirà. Gesù parlava al cuore, alla vita, e sapeva che la testa dei “benpensanti” non si apriva a questo insegnamento nuovo, essi pensavano di aver capito tutto, ma senza cambiare vita: “la fede non è sapere delle cose, ma farle diventare sangue e vita” (E. Ronchi). In questa domenica, il vangelo ha un invito per ciascuno di noi, quello di riconoscere che ci sono dei mali nell’anima, e per salvarci, dalla possessione del denaro, dalla possessione del potere, dalla possessione dell’ego, tutto dipende dalla nostra libertà, dal chiedere l’intervento del medico, Gesù, il Cristo, di lasciare che egli ci curi e ci sollevi anche nel corpo, di portare ordine nel disordine.
Buona domenica.
Siamo viandanti che camminano nella notte, siamo sentinelle che scrutano l’aurora, siamo veglianti e vigilanti in attesa dello Sposo. Siamo la lanterna della vita e della fede, e ogni giorno è un passo verso il Cielo. Siamo l’impossibile che diventa possibile, perché l’odio possa trasformarsi in amore, il buio in luce, la guerra in pace, la tristezza in gioia, il pianto in sorriso. Siamo tutte le cose, siamo i colori dell’arcobaleno.
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